Il borgo fa parte del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano e sorge ai piedi del monte Ausiliatrice. Il suo nome è dovuto al culto del patrono San Pietro e al fiume Tanagro situato nelle vicinanze
Le sue origini sono molto antiche, difatti è un comune che vanta un patrimonio storico-artistico non indifferente a cominciare dalla Chiesa Madre di San Pietro Apostolo del XIX secolo, costruita sui ruderi di un più antico edificio dedicato al culto religioso.
Di notevole interesse anche la chiesa dedicata a Santa Maria del Piano risalente al XVII secolo e la Chiesa del Santissimo Crocifisso della fine del XIX secolo, eretta su una vetta a quasi 800 metri sul livello del mare al cui interno è possibile ammirare un bellissimo crocifisso di legno. San Pietro al Tanagro non è solo arte, questo borgo ricco di storia gode anche di una natura circostante molto suggestiva. Basti pensare ai tanti mulini ad acqua presenti nella zona e alla Grotta del Secchio, una grotta naturale lunga quasi 1 Km caratterizzata da diversi piccoli laghi e corridoi.
Non molte le notizie sul villaggio che nel 1496 apparteneva ai Sanseverino di Salerno, ai quali fu avocato al fisco per fellonia, ma poi restituito. Dal manoscritto Costa citato dal Giliberti si rileva che nel 1569 il barone di S. Pietro di Diano, duca di Siano, ricorse alla Regia Camera affermando che il barone di S. Arsenio, Giovanni M. de Ogeda, non aveva alcun diritto di esercitare le giurisdizioni della bagliva e della portolania di S. Pietro di Diano. Il ricorso venne respinto, forse per insufficienza di documentazione, se il duca di Diano riprendeva la vertenza asserendo che S. Arsenio non era feudo quaternato, ma solo dominio della chiesa, per cui doveva essere privato dei diritti di bagliva e portolania. Pertanto non si poteva pretendere che continuasse ad esercitare tali diritti sulla popolazione di S. Pietro di Diano. Si oppose il barone de Ogeda asserendo che già i precedenti feudatari avevano esercitato quelle giurisdizioni, per cui il suo diritto venne riconosciuto. Ma, a quanto riferisce il Pandolfo, una sentenza del Sacro Regio Consiglio del 1596 stabilì «che il diritto di bagÌiva e di portolania, nel feudo di S. Pietro al Tanagro spettava a quel barone».
Scrive il Giliberti che nella «Reintegra» dello «stato» di Diano, vennero delimitati anche alcuni confini tra S. Arsenio e S. Pietro. Un'altra vertenza sorse tra i contadini di S. Arsenio e il duca di Siano, il quale ricorse al Sacro Regio Consiglio assumendo che quelli avevano iniziato a coltivare terre demaniali adibite a pascolo. Il ricorso fu accolto per cui gli abitanti di S. Arsenio videro frustrate le loro fatiche. Sempre dal manoscritto citato si apprende anche dell'arresto del barone G. Maria Calà, mentre era a caccia in località Mezzanella, da parte degli uomini d'arme del duca di Siano, che lo tradussero a Torre. Il duca estorse al barone una dichiarazione con la quale conveniva che la contrada Secchio era di pertinenza di S. Pietro di Diano.
Il Giustiniani scrive che nel 1625 Giovanni Villano possedeva il feudo designato «S. Petri prope Brianum».
Ci è pervenuta poi un'altra notizia sulla controversia (a. 1771) con Sant'Arsenio circa il pascolo delle contrade Lamato e Pezze. S. Arsenio non si difese innanzi al delegato del Sacro Regio Consiglio per cui venne condannato.
Dal Libro dei Parlamenti (1756 -1775) si apprende di alcune ragazze di S. Arsenio denudate da giovani di S. Pietro, per questo motivo ci fu un ricorso da parte del sindaco e degli eletti dell'Università al re.
II 7 settembre 1806 alcuni abitanti di S. Pietro e di Torre, ritenendo che una delle compagnie delle truppe francesi del generale Massena, che andava a rinforzare nelle Calabrie quelle del generale Renier, si era avvicinata al paese per assalirlo, si armarono e si avvicinarono al bivacco francese in contrada Secchio sparando diversi colpi di fucile. Durante l’attacco venne ucciso il capitano comandante. All'alba i francesi assalirono Torre e S. Pietro, ma vennero accolti a fucilate. I francesi saccheggiarono l’abitato e lo misero a ferro e fuoco.
Il Giustiniani l'ubica a 44 miglia da Salerno con 2700 agricoltori che producono frumento, vino, olio e legumi. Ritiene che il feudo sia assegnato alla famiglia Capece dei duchi di Siano. Egli scrive di aver potuto reperire solo i dati dei censimenti del 1595 (fuochi 132: ab. 660), 1648 (fuochi 140: ab. 700) e 1669 (fuochi 95: ab. 475).
LATITUDINE: 40.4585812
LONGITUDINE: 15.479958200000056
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